a raccogliere pomodori

Nostalgia dell'ortoterapia, ai tempi del Covid 19

La quarantena ha implicato disagi per tutte e tutti e conseguenze emotive e psicologiche ben di là dall'essere verificate. Le persone con cui lavoriamo, le utenti e gli utenti dei servizi che svolgiamo, sono le più esposte a queste conseguenze. Ancora oggi molti servizi non sono riattivati. Una cosa che forse però sfugge a chi non lavora in questo campo è che la relazione emotiva è assolutamente a due sensi ed è difficile capire chi dà e chi riceve di più, come già segnalato in un altro articolo su questo sito. Per quanto si tentino e si riescano soluzioni nelle condizioni date attraverso piattaforme e dispositivi di connessione, i corpi insieme sulla terra determinano la situazione terapeutica alla quale abbiamo bisogno di tornare tutte e tutti, al di là del ruolo.

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“Artu', nun ce pensà”

Basta un attimo che uno si distrae. Un attimo di assenza e se ne accorgono.
Stavamo là al banco, al mercato di Orvieto, e mi sono messo a rimuginare su una questione che mi rodeva il fegato un pochettino. Pure più di un pochettino, forse... Neanche trenta secondi e Federico mi becca.
E mi fa ridere. Davvero strano... un secondo prima stavo con lo sguardo fisso e nella testa un fatto che mi disturbava l'umore, un secondo dopo è come se Federico mi avesse levato un cappuccio dalla testa, mi sento subito alleggerito e mi metto a ridere con lui.
Come fanno a non mancarmi!
Tante cose di questa quarantena generalizzata mi sono spiacevoli, ma l'unica vera nostalgia è questa. Questa di loro, dello stare con loro, del fare cose con loro. Del sentirmi a casa con loro. Del sentirmi anche io, un po', loro.

federico a ortinpace

Accolte, accolti

Io non sono un veterano. Sono nuovo di questa esperienza. Per l'esattezza sono un pivello. Faccio agricoltura sociale coi cosiddetti diversamente abili da un anno. Potrei chiamarlo lavoro, ma come faccio a chiamarlo lavoro. Una situazione che così intensamente ti coinvolge nella relazione, che ti fa scoprire cose di te stesso, che ti cambia il modo di stare con gli altri... è un lavoro, certo, mi pagano per farlo. Ma, quando ci penso, la definizione che mi viene istintiva, tra me e me, non è “il mio lavoro” ma piuttosto “la mia seconda casa”.
Io sono un emigrato. Da due anni sto qua, nell'orvietano, vengo dalla Calabria. Quindi sono letteralmente “fuori casa”. Ho una compagna, due figlie... ma la cosa che più mi ha fatto ritrovare, qui, nell'esilio dell'emigrazione, una casa, sono loro. I miei compagni di disagio e di lavoro.

bruco

Lo scambio

Dice che “noi” facciamo inclusione attraverso le attività che facciamo fare a “loro”. Io non lo so se ho incluso qualcuno. Sicuramente mi sono sentito incluso da “loro”, e questa cosa mi ha molto confortato.
Il rapporto con loro effettivamente lo considero uno scambio. Io sono più esperto nel lavoro sul campo e in questo li guido. Loro sono più esperti nel disagio, nel sentirsi fuori posto, e in questo guidano me. Che da sempre nella vita mi sento un po' fuori posto e ora che sono emigrato...come non mai.
La cosa più esatta è che loro mi accolgono. Come non fa nessuno.
 

pomodori in cassetta

Matteo

“Che fai, pensi alla vita?” mi dice Matteo mentre raccogliamo le zucchine.
È così. Non è tanto quello che fai, quello che si fa. È se “ci sei” o “non ci sei”. E se non ci sei loro se ne accorgono subito e te lo dicono.
E la cosa di fondo è che io nella vita voglio esserci. Sempre. Quindi vi renderete conto di quanto devo essere grato a questi miei compagni di cammino per la scuola che mi fanno in questo senso.

dettaglio raccolta pomo

Claudio

Claudio in questo è ferreo, irremovibile. Vuole la relazione. Vuole che ci sei. 
È disposto a farsi sgridare continuamente, per le continue domande pretestuose e gratuite che fa... non importa. A lui quelle domanda servono per chiedermi “Ci sei Arturo? Sei qui con me?”.
E questa domanda perpetua di Claudio serve a me, che mi distraggo, perché rispetto a lui sono handicappato, tendo a pensare contemporaneamente a tante cose da fare o che mi impegnano e non sono mai veramente nel presente, nel momento, nella relazione.
Lui e gli altri mi insegnano molto, in questo.
Ricordo a un corso che ho fatto... l'istruttore ci diceva “se avete delle difficoltà emotive, se siete deconcentrati, loro se ne accorgono prima degli altri”. Chiesi allora: “ma perché diciamo che hanno un deficit cognitivo... se è così, per un deficit che hanno da un certo punto di vista, da un altro punto di vista siamo noi ad avere un deficit rispetto a loro”.
Che poi... “noi” , “loro”... saranno questi i termini corretti della relazione? Lassciamo perdere, andiamo avanti.

pomo striscia

Catia

Scrivevo più su “gli altri”, al maschile, ma una femmina almeno c'è. Catia. Catia è il contrario di loro. Catia non ti sollecita, non attira l'attenzione, mai. Catia lavora, s'impegna, è brava, anche perché è di famiglia contadina, ma non dice. Se non quando è provocata. Catia mostra continuamente un segreto che nessuno può conoscere. E per questo mi chiama alla relazione anche più degli altri. Perché io prima o poi quel segreto lo voglio conoscere. Perché sono convinto, senza nessuna evidenza scientifica del fatto, che conoscere il suo segreto mi aiuterebbe a scoprire meglio anche il mio, quello che porto dentro il mio cuore.
 

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Cristian

E poi c'è Cristian. Cristian è il satiro della situazione. Cristian è l'ironico. “Artù e gli utenti della tavola rotonda”, ha sentenziato una volta. E a me sono venute quasi le lacrime agli occhi, non perché fossi designato come Re Artù, ma per il fatto di sentirmi cavaliere tra i cavalieri con loro.
L'ultimo che voglio menzionare, che ultimo non è per importanza ma forse perché probabilmente non verrà più all'orto, è Leonardo.

budello

Leonardo

Leonardo non ha alcun deficit cognitivo né motorio (ah che sofferenza, usare questa parola... deficit; giusto per farsi capire, uso le parole che “si” usano...).
Leonardo è un adolescente. E non gli andava di lavorare... Madonnnaaaa! Proprio non gli calava!
Faceva finta di cadere, simulava mal di testa, capogiri...finché non ho portato una macchinetta fotografica e gli ho chiesto di fotografare. Da quel momento Leonardo è diventato, finché c'è stato, il nostro narratore per immagini. E infatti in questo articolo, tra le immagini catturate ad Orti in Pace usate per illustrazione,  trovate anche alcune foto da lui realizzate. forse le riconoscerete, tra le altre. Rivelano una poesia che lui ha dentro e che dà una forma particolare, una luce particolare, ai luoghi e alle situazioni che abbiamo vissuto insieme nel luogo dove facciamo l'orto sociale e che lui ritrae... col suo sguardo. Leonardo a un certo punto ha smesso di venire all'orto perché ha ricominciato la scuola. E che gioia! Per lui... riprende la sua strada, quella che lo apre all'ignoto e alle mille possibilità della vita, le mille possibilità che ancora di fronte a sé ha un adolescente.
Voleva continuare, Leonardo. “sta settimana no, che mi devo riabituare a studiare...la prossima”.
In realtà gli impegni della scuola...e forse chissà, gli interessi nuovi della vita, per la vita. Non è venuto più. Però ci ha lasciato con le foto quella testimonianza della poesia che ha dentro e che chissà, forse, abbiamo contribuito a che non si spegnesse e potesse risbocciare nel nuovo cammino esistenziale che ha cominciato.
 

pollice su

 

Ecco, appunto... come potrebbe mai non mancarmi tutto questo!
Spero che riprenda presto.
E intanto mi riguardo le foto di Leonardo

leo
Arturo Lavorato • 20 Maggio 2020