giusi aruna e sunkaru

Racconto di Orti in Pace

"Il mio sogno è che orti in pace possa diventare un luogo in cui le persone possano incontrarsi e convivere, senza star a guardare se sei nero, un po' tonto, senza capelli, bianchiccio e flaccido, un po' storto o macho, un luogo in cui si possa fare cultura in modo accessibile, non unidirezionale, mangiando tutti insieme, con la musica..."
Emanuele, tra i fondatori di Orti in Pace

amicizia

Ecco. A questo punto mi pare proprio il caso di scrivere su Orti in Pace. C'è anche il video, certo. Però è diverso. Quello che capisci con le immagini, col parlato, è diverso da quello che si può spiegare con le parole scritte. Per esempio com'è che noi di Oasi Agricola ci siamo trovati ad Orti in Pace come nel luogo principale della nostra attività. Noi poco più di un anno fa eravamo contadini senza terra. C'era un pezzetto, sì, dove ora c'è una piccola piantaggione di fagioli, qualità "secondo del piano", ma inadatto a fare ortoterapia. C'è un altro sito, molto impegnativo, nel quale sono in ballo progetti molto ambiziosi ma al momento non praticabile per noi... Insomma eravamo senza casa e qui ne abbiamo trovata una. Certo, negli anni chi conduceva l'Oasi prima che io arrivassi aveva una relazione stabile e collaborazioni coi soggetti che hanno creato Orti in Pace. Ora però siamo stati accolti. Dalle persone e dal luogo. E questo luogo e queste persone ci hanno reso parte di una storia. Come comincia questa storia, lo raccontano qui alcun* dei/le protagonist*. A partire da Rita, la proprietaria, la nostra "bella padrona" come la chiamo io per sfotterla. Ce ne parla ricordando il suo compagno di una vita, Gianfranco Cuboni, scomparso qualche anno fa lasciando un impronta indelebile nella comunità alleronese, riconoscibile subito anche per chi arriva dall'esterno come me, con chiunque si parli in paese:
"Eravamo lanciati in impegni sociali, politici, di tutt'altro genere, poi quando... è arrivato come fulcro del nostro pensiero Marco... Marco e non solo! Perché Marco da solo non c'ha senso, come nessuno di noi ha senso da solo.  Ci vedevamo un orti, ci vedevamo un laghetto, perché a marco piace molto pescare... poi piantammo il bosco, perché gli alberi sono importanti...
Pur essendo assorbiti tantissimo dall'esistenza di Marco e tutto ciò che ruota intorno a una persona che... che rimane a te, insomma che ti resta sempre legato... eravamo connessi comunque con "Il Ginepro", per la lotta ambientale, con il Partito Comunista e poi... politicamente...sempre interessati a fatti culturali che potevano avvenire ad Orvieto... poi le persone che stanno dentro "Il Ginepro" sono anche in parte quelle che ruotano intorno all'equo e solidale, la bottega di Orvieto eccetera... e quindi abbiamo buttato là questa idea, perché non... e è nato Orti in Pace. Grazie anche alla disponibilità dell'Oasi Agricola... erano tutti progetti, erano tutti satelliti, che erano stati ideati... E FATTI in questo circolo di relazioni...".

rita

Una storia collettiva non è mai uguale a seconda della voce che la racconta. E' il bello della coralità. Così Massimo, attivista di innumerevoli associazioni locali tra Allerona e Orvieto, restituisce un'altro lato della genesi di questo progetto:
"L'idea è nata poco per volta, il primo progetto fu redatto nel 2010 dalla Coop. Soc. Oasi, in un programma ancora più ampio (Semia) per lo sviluppo agricolo e ambientale sul territorio. Nel 2016 abbiamo avviato il progetto con l'Associazione Il Ginepro e la Coop. Soc. Il Quadrifoglio, attraverso un percorso di integrazione e formazione dei migranti inclusi nei programmi sprar del territorio".
Lo stesso filo, con sfumature diverse, riprende Emanuele, coordinatore della comunità SPRAR per minori Xenia ad Orvieto e membro de "Il Ginepro":
"Orti in pace è nato 4 anni fa, in collaborazione con un progetto di accoglienza straordinaria per adulti gestito della Coop Quadrifoglio, con due appartamenti in cui vivevano complessivamente 13 migranti, molti dei quali provenienti da contesti agricoli.
Questi ragazzi non hanno ricevuto una buona accoglienza, soprattutto in un paese vicino, dove la cittadinanza ha espresso in modi evidenti, già prima dell’arrivo dei ragazzi ed anche successivamente, un ostracismo netto ed irremovibile.
Volevamo creare occasioni per dare un’immagine positiva dei ragazzi, in modo che la cittadinanza li potesse vedere da un’ottica diversa... 
Nel Ginepro avevamo l’idea di creare un progetto di agricoltura sostenibile da un punto di vista sociale ed ambientale. Così ne ho parlato con Luca e Doriana, i miei colleghi di lavoro e poi abbiamo proposto al Ginepro di provare ad avviare quel percorso di cui tanto avevamo discusso in passato".
Inclusione. Man mano che procede la ricostruzione del cammino, emerge questo come fulcro di tutto il percorso. Ma in che senso inclusione? Qualcuno che include qualcun altro? I deboli? I fragili? e non lo siamo forse tutti, ognuna e ognuno a modo suo? Una cosa chiara ad Orti in Pace è che tutte e tutti vengono accolti... da tutte e tutti. In questo, come secondo una tematizzazione ormai classica nel mondo dell'agricoltura sociale, il lavoro sulla terra aiuta molto.
Continua Emanuele: "n quel periodo mi stavo interessando all’agricoltura sinergica, che ha come presupposto basilare il mutuo aiuto tra specie vegetali diverse, per famiglia, per profondità delle radici e per caratteristiche biologiche.
Questa metodologia di coltivazione implica interventi minimi sul del terreno, che dovrebbe essere lavorato solo all’inizio del primo ciclo culturale, con la costruzione di bancali rialzati, che non devono essere calpestati e che grazie ad un’abbondante pacciamatura di paglia, sarebbero dovuti rimanere soffici e ricchi di sostanze di humus, perciò perfetti per l’agricoltura.
Mi sembrava la filosofia agricola fatta apposta per me: la metafora dell’integrazione e della convivenza e soprattutto la promessa di raccolti abbondanti senza troppa fatica…
Come sempre l’esperienza ha messo in evidenza la mia ignoranza..
Infatti le difficoltà sono state enormi, il tempo richiesto altrettanto ma siamo andati avanti.
Sia il Ginepro, che soprattutto Rita, la padrona latifondista, hanno accolto con gioia e grande disponibilità la mia proposta".
Sogni e difficoltà condivisi su cui torna Massimo:
"Il primo anno realizzammo un orto sinergico di proporzioni anche esagerate, con bancali lunghissimi, realizzati in un unica giornata, con il lavoro dei volontari dell'Associazione e tutti i ragazzi dei gruppi Sprar dell'orvietano. E' stata forse la prima esperienza di incontro e rapporto diretto con una finalità pratica e per numero di persone coinvolte realizzata in zona. L'anno successivo abbiamo sviluppato un sinergico ridimensionato per soddisfare i bisogni e le necessità dei gruppo sprar e per fare una formazione rivolta in particolare ai minori. Attività che cominciava con le semine, per proseguire durante tutto l'anno con le diverse raccolte e momenti conviviali e festosi, come la merenda all'orto realizzata in settembre e che coinvolgeva tutta la popolazione locale".
 

al lavoro insieme

Qui è l'altro polo della dinamica virtuosa che si tenta ad Orti in Pace: dopo il lavoro insieme, il convivio, la festa. Per il momento, l'orto che si realizza in questo ettaro non è più sinergico, il lavoro organizzato in modo più stringente, dovendo noi fare i conti con le difficoltà di sostenibilità economica della cooperativa. Eppure rimane quel clima allegro e quella voglia di vivere la campagna ben al di là della emra produzione di ortaggi. E' un vero e proprio edoificio relazionale quello che si tenta di costruire. Chi attraversa l'esperienza, anche solo per un breve periodo, resta parte dell'edificio in virtù delle relazioni, degli scambi, degli affetti, dei legami creati. A me che sono l'ultimo arrivato viene in mente Mamadou, che quando ho iniziato era il mio riferimento qui. Senza l'aiuto dei ragazzi africani dello SPRAR e di altri centri che lui coinvolgeva, tanto per venire a dare una mano quanto per rendere più partecipate le serate, non saremmo riusciti ad avviare l'attività nella scorsa stagione, dato che abbiamo cominciato con grave ritardo. O ancora Giusi, agronoma prestata alla veterinaria che veniva a legare i pomodori con dei pantaloni elegantissimi di cui riusciva a non sporcarsi nemmeno l'orlo. Molti più volti, molte più voci, molti più nomi si affollano nei ricordi di chi c'era da prima:
"Sui nomi ho sempre il terrore di dimenticare qualcuno - comincia con pudore Massimo - comunque posso parlarti di Mamadou, Harouna e Sounkarou, con i quali ho fatto un tratto del percorso di Orti in pace, realizzando dei piccoli orti sinergici domestici. I ragazzi inizialmente erano timidi e non sapevano bene cosa li aspettava, ma già dai primi incontri è emersa il loro carattere forte, genuino, quello di chi a braccia ed occhi aperti desidera conoscere, imparare, sentirsi incluso".
 

mamadou e mohammed

Emanuele prosegue:
"Tra i migranti dopo il corso inizale hanno partecipato Joseph, un uomo nigeriano, il più grande dei migranti, con i suoi 50 anni, un uomo vissuto, con tante esperienze di vita, che è stato già in Europa in passato, intelligente e sveglio: nel suo paese con il suo spirito di iniziativa si era costruito una sicurezza economica, partendo dalla campagna, lavorando terre di famiglia, poi producendo e vendendo carbone, comprando e vendendo vestiti, comprando un camion per fare trasporti.
Si era costruito una piccola fortuna, aveva delle sicurezza ma ha venduto tutto per venire in Europa, dove aveva un figlio, da dove era stato cacciato, forse per qualche piccolo sbaglio, dove pensava di potersi costruire una vita migliore, vicivo ai suoi famigliari.
Poi c’era Abdoulaye, maliano, un personagio meraviglioso, serafico, con un sorriso dolce e mite, simpaticissimo.
Alex, ghanese molto schivo, tuttora sono passati tanti anni e ancora fatica tantissimo a comunicare: da sempre la sensazione di stare fuori posto, mi fa tenerezza e tristezza.
L’altro lavoratore infaticabile era Sambala, compagno inseparabile di Abdoulaye, un’anima gentile, dolce, con dei modi di fare eleganti e che tuttora vive con noi nella nostra comunità.
Per rendere più protagonisti i ragazzi migranti ho proposto loro di coltivare ortaggi tipici delle loro terre: abbiamo provato con le arachidi e con l’okra o gombo o tanti altri nomi, in quanto ognuno di loro lo chiamava in modo diverso.
L’okra è stato l’ortaggio che probabilmente ha avuto più successo tra tutti quelli coltivati.
Gli ortaggi prodotti sono stati destinati all’autoconsumo per i migranti accolti e poi visto che andavo anche al mercato di Orvieto per vendere gli ortaggi prodotti da Oasi Agricola e ho proposto di vendere anche i nostri ortaggi.
Così si è conclusa la prima stagione agricola.

Il progetto è continuato con i minori stranieri, tra cui sono stati protagonisti indiscussi Harouna e Sounkarou, due splendidi ragazzi senegalesi, simpatici, sorridenti e con una grande voglia di lavorare ed ogni tanto veniva anche Joseph, mentre gli altri erano occupati in altre attività.Tra i personaggi che hanno caratterizzato orti in pace merita una nota Mauro, ragazzo crersciuto in una Comunità educativa, che ha dato un contributo volontario sempre prezioso, facendosi apprezzare da tutti.
Il progetto è proseguito così fino all’arrivo di Arturo e gli altri dell'oasi... Enrico che l'anno scorso lavorava con lui, Alessandro che viene quando ha un momento libero dal lavoro, Maurizio che sbriga le scartoffie"
Visto che si menziona Arturo, mi va di ricordare che ora con me c'è Adrian, diciottenne Kosovaro che dallo SPRAR hanno avviato ad un tirocinio con l'Oasi. E Federico, alleronese che ci aiuta ad affrontare il grande carico di impegni estivi, a fare il lavoro che lo scorso anno faceva Simona, altra paesana sua. Poi Sambala, anche lui passato dallo SPRAR, è sempre qui con noi, visto che assiste Marco, il figlio di Rita, e fa qui il suo pezzettino di orto all'africana. Torniamo dunque a Rita, al principio di tutta la storia. Lo sottolinea Emanuele:
"Poi al centro di tutto anche se lei non vorrebbe dicessi così, c’è Rita, che con la sua grande umiltà mette a disposizione la sua terra, la sua saggezza, il suo spirito umano, la sua enorme cultura ed intelligenza.
Io la prendo in giro perché giustamente ci bacchetta quando lasciamo la corrente accesa o gli attrezzi fuori posto, è la padrona, la latifondista e questo deve fare ma in realtà incarna lo spirito che ha fatto nascere questo progetto, che ha origini antiche, nelle feste dell’Unita di 30 anni fa, quando eravamo ragazzini: di conseguenza credo che in questo progetto ci sia anche lo spirito di Franco, Cuboni, che per primo, con Rita ha immaginato tante volte un posto così".

molte e molti

E' proprio con le parole di Rita che voglio chiudere questo breve racconto di Orti in Pace:
"I sogni non vivono se non c'è chi li sogna, e quindi... sono persone. 
all'inizio ancora noi ragionavamo... per i disabili... invece poi... era frutto del nostro ragionamento, mio e di Gianfranco, che un posto non è solo per qualcuno, è per tutti. è quindi è per il vecchio, per il bambino, per il disabile, il carcerato, il rifugiato, eccetera. E quindi questo deve essere Orti in Pace per noi". 

Arturo Lavorato • 24 Luglio 2020